articolo apparso su Kulturjam il 6/6/2020
“C’è un pezzo di Africa in ognuno di noi! Chi non beve il caffè, nessuno? Beh buona parte del caffè dei nostri mercati viene dall’Etiopia come buona parte del Té nero viene dal Kenya e dalla Tanzania”. Lasciamo il beneficio di improvvisazione sui dati del mercato internazionale al giovanissimo interlocutore che a Napoli, dinanzi il consolato degli Stati Uniti di America, incita una folla di suoi simili. Sono tanti, tutti giovanissimi, quasi nessuno mai visto prima nelle iniziative di movimento che nella città più importante del Mezzogiorno sono la ossatura portante della cosiddetta società civile. Sono tutti di seconda generazione, chi al liceo e chi all’università, hanno resuscitato i calzettoni a spugna che speravo archiviati negli anni ‘90 e li ostentano con orgoglio, come se dietro Mergellina ci fosse Harlem e come se le Black Panters avessero archiviato in un batter di ciglio la retorica delle incancrenite liste di disoccupati. Non hanno la cittadinanza italiana per via di un conservatorismo dilagante, presente anche nell’azionista di maggioranza dell’attuale governo, ma rappresentano con enorme dignità quel divenire italiano che produrrà uno status quo inoccultabile e che spingerà i nostri governanti a produrre pratiche di apartheid sempre più imbarazzanti.
Sono al primo presidio napoletano per George Floyd, a Roma un migliaio di neofascisti occupa le cronache nazionali mentre qui, dinanzi un migliaio di seconde generazioni di autoconvocati non vi è nemmeno un giornalista locale ma soltanto qualche fotografo.
Lo smarrimento è anche dei movimenti tradizionali, sono in numero inferiore e il proprio inventario semantico risulta improvvisamente desueto.
“Hanno ucciso un mio fratello, un vostro fratello, un fratello dell’umanità di chi ha la pelle nera, bianca o marroncina. Fate una cosa per favore, quando vedete qualcuno prevaricare su un altro perché ha il colore della pelle diversa non giratevi dall’altra parte, difendete la vittima e contribuirete alla giustizia nel mondo”. Sono le fasi salienti di un discorso che di passaggi significativi ne ha parecchi, almeno il triplo di un qualsiasi intervento di un rappresentante di rango di un partito parlamentare. Ha si e no vent’anni, ha la pelle nera e parla un italiano e un napoletano perfetto e mixa gli idiomi con la maestranza di un dj.
“Ho una identità, due identità, tre identità e sempre una identità. Se non capite la mia ricchezza il problema è vostro, la vostra società si salva se con me”.
Mi giro verso i compagni di una vita: ragazzi, il reverendo Al Sharpton è tra noi!!