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intervista apparsa su QCodeMag.it il 28 agosto 2015

Il tempo di incrociare lo sguardio di Ali Lmrabet, di udire una sola amara battura, e ti rendi conto che non sei semplicemente dinanzi a un giornalista dalla vita resa difficile dal proprio lavoro, ma a una specie di contemporaneo Lenny Bruce del Maghreb.

Come nello sketch reso immortale dalla pellicola di Bob Fosse in cui Lenny leggeva, divertito e inorridito, le didascalie del Time sul presunto altruismo eroico di una Jacqueline Kennedy intenta a lasciar il posto alla scorta dopo l’uccisione del marito e non a fuggire per la paura causata da una sparatoria, anche Ali Lmrabet prende di mira la narrazione giornalistica e del potere del suo paese, il Marocco, come dell’Occidente e del mondo arabo.

Lo fa sul suo giornale satirico Demain [Domani], esperienza che gli è costata prima una manciata di mesi di galera per aver paventato la vendita di un palazzo reale di sua maestà Muhammad VI, poi dieci anni di interdizione dal lavoro in patria per aver constatato che i saharawi presenti in Algeria non sono ostaggi di quel paese, ma profughi riconosciuti a livello internazionale e, infine, il ritiro della carta d’identità e il mancato rinnovo del passaporto per la continuata e recidiva attività di satira.

Ospite a Napoli della rassegna Imbavagliati, Ali Lmrabet si dichiara abituato a tutte le provocazioni e a tutte le domande del mondo. Dinanzi a un uomo così, tanto vale cominciare l’intervista con una domanda cretina.

Perché va sostenendo che in Marocco non vi sia libertà di stampa? Mica parliamo del Libano, dove per ammazzare Samir Kassir si è ricorsi a un’autobomba.

Il Marocco è da sempre differente dal mondo arabo. Se ci paragoni con la Libia, l’Iraq o l’Arabia Saudita generi un equivoco. Siamo l’unico Paese che non ha fatto parte dell’Impero Ottomano, ad esempio. Io non sono arabo, non ho problemi con gli arabi e considero la cultura araba una ricchezza in più del Marocco. Ma se tu ci paragoni al resto del mondo arabo, non hai capito nulla. Sulla libertà di stampa io prendo per buono quello che dice il regime del Marocco, quello che è scritto nella Costituzione del mio Paese: La libertà d’espressione esiste! Io prendo per buono quello che dicono i ministri dell’informazione, della giustizia, dell’interno: il nostro è un Paese democratico che cresce. E io dico: Molto bene! Allora avrò il diritto di avere una rivista e di fare il mio lavoro di giornalista!

Perché ha deciso di ricorrere alla satira per raccontare le contraddizioni del Marocco?

Perché posso descrivere con una caricatura una situazione definita che un docente universitario argomenterebbe con un libro. Con una caricatura soltanto posso dire che il Re del Marocco è allo stesso tempo il discendente del Profeta Maometto, il commendatore dei credenti, la massima autorità religiosa del Paese e anche il proprietario di una catena di supermercati che vende alcool. E l’alcool è proibito dalla religione islamica. Con una sola caricatura, discreta e non provocatoria. Noi non siamo Charlie Hebdo. Con una caricatura piccola dove non appare nemmeno il Re, possiamo raccontare una situazione ben definita e l’ipocrisia della nostra classe dirigente.

La satira è uguale in ogni parte del mondo?

Charlie Hebdo! [ha capito subito dove volevo andare a parare – ndr] Conoscevo personalmente Charb, non posso definirlo amico, ma era una persona con la quale ero molto in contatto. Ero legato a Charlie Hebdo all’epoca di Philippe Val. Conoscevo Cabu e quando andavo a Parigi ero suo ospite. Fu Cabu a darmi l’idea, una volta che mi chiusero in Marocco la rivista Demain [Domani], di aprire Après-demain [Dopodomani]. Sono l’unico musulmano che nel 2006, dopo la prima caricatura del Profetto Maometto, ha mandato loro un fax dove dichiaravo: “Appoggio il diritto fondamentale della gente di esprimersi come vuole!”. Ebbi poi molte discussioni con Charb. Da loro esiste il diritto alla blasfemia e io stimo la Francia per questo diritto. Ben venga allora la copertina su Maometto la prima settimana, la settimana successiva pure, la terza anche, ma se poi anche la quarta, la quinta, la sesta settimana allora significa che tu hai un problema con l’Islam. Già non è più un diritto alla blasfemia ma la manifestazione di un problema con una religione. Lo dico chiaramente, perché ne parlavo con loro: avevano un problema non tanto di anti-islamismo, ma erano anti-musulmani. Per quanto mi dicessero “Nooooo, ma noooo, noi lottiamo contro tutte le religioni” io facevo loro notare che attaccavano più la religione cattolica e musulmana e mai quella ebraica. Qui leggo scritto nelle aule di tribunale “La legge è uguale per tutti”, anche le religioni sono tutte uguali o non lo sono?

Quindi un problema di libertà d’espressione c’è anche da noi? Charlie-Hebdo doveva mettere Maometto ridicolizzato in prima pagina per vendere. Una satira diversa da quella che critica il potere come faceva ad esempio Cuore qui in Italia o come fai tu oggi in Marocco.

Si, lo penso, ma si tratta di una regola normale. Anche al Corriere della Sera vedi segretari di redazione che immaginano il titolo sulle possibilità di vendita. Ma considerato che l’Islam e i musulmani godono di una cattiva fama, e io lo vedo con me, perché quando arrivo a un convegno internazionale di giornalisti guardano la mia borsa sempre con un certo sospetto, hanno approfittato di questa cattiva fama per vendere. Ma non funzionava. Con tutta la storia dell’Islam, del sedere del Profeta in prima pagina, non funzionava. Vendevano ventimila copie a numero. E due pazzi disoccupati nati in Francia, che dell’Islam non sanno nulla tranne aver letto tre o quattro testi integralisti, hanno ammazzato mezza redazione, boom boom boom, e così hanno messo tutti noi in un problema grandissimo e terribile. Tutto questo quando la immensa maggioranza di musulmani, dico immensa, non conosce Charlie-Hebdo e se gli avessero posto il problema della raffigurazione del Profeta avrebbero fatto al massimo una pernacchia. Però due persone nate in Francia, cresciute in Francia, sintomo del problema dell’integrazione in Francia, entrano nella redazione, boom boom boom, e siamo in questo bordello.

Siamo impelagati in un fondemantalismo laicista?

In Francia si. Sia in Svizzera, come in Israele, molta gente parlandomi prendeva le distanze da Charlie-Hebdo. Siamo in una follia laicista. Dopo il massacro alla redazione la polizia ha fermato bambini di sette e otto anni che a scuola dichiaravamo il proprio disappunto per Charlie-Hebdo e inneggiavano agli assassini. Bambini che non sanno cosa vuol dire ammazzare o cosa sia la satira. Siamo in una follia laicista e in una ipocrisia enorme. Parte dei cinque milioni che hanno manifestato a gennaio per la libertà d’espressione in realtà hanno manifestato il loro astio contro i cinque milioni di musulmani presenti nel loro paese. Ma perché non difendono la libertà d’espressione nel mio Paese, in Algeria, in Tunisia, in Libano o in Arabia Saudita? Sapete cos’è l’Arabia Saudita? É lo Stato Islamico rispettabile! Perché non difendete la libertà d’espressione in Arabia Saudita? Per me sta bene, io ho applaudito a quella grande manifestazione a Parigi, ma noi? La nostra libertà d’espressione? Il governo francese non ha mai detto nulla sulla mia libertà d’espressione in Marocco.

A noi dal Marocco arriva una immagine edulcorata: La fantastica Medina di Marrakech, raccontata anche da Goytisolo, le belle donne, il buon clima.

Marrakech è una città marocchina? Io direi di no! È una città francese che io chiamo la nuova Sodoma e Gomorra del mondo arabo. Se cammini nella Medina vedi americani, francesi, politici e giornalisti, in uno stato dentro lo stato. Se vedi un marocchino commettere un crimine morale, tipo andare a letto con un bambino, questo crea sgomento in Marocco come in Francia, ma se è un ministro francese (e io ho il nome) allora non succede nulla. Marrakech non è Marocco. Per vedere il Marocco devi andare in periferia e parlare con gli islamisti, non con gli islamisti al governo, quelli sono islamisti light che con una sedia da ministro sono stati recuperati. Per conoscere il Marocco devi parlare con la gente, entrare nelle loro case e scoprirai non una democrazia, ma una dittatura in babbucce protetta dall’Occidente, dalla Spagna e dalla Francia in particolare. Paesi che permettono a un paese non democratico di sopravvivere forse perché non abbiamo gas e petrolio. Siamo una nazione con la quale si risolve facilmente il problema del Sahara Occidentale. Siamo il primo esportare di hashish nel mondo. Esportiamo ventimila prostitute all’anno nei paesi del Golfo e sono nostre ragazze, e dalla mia regione, Tétouan, esportiamo migliaia di tagliatori di testa che sono liberi di gonfiare le file dello Stato Islamico con regolare passaporto mentre il mio di passaporto non lo vogliono rinnovare per la satira che faccio. Noi siamo campioni del mondo in vendita di immagini esteriori. Siamo un edificio dalla facciata impeccabile, dipinta e rifinita stupendamente, ma dietro questa, l’interno del palazzo è non solo fatiscente. E’ pericolante.

apparso su QCodeMag il 9 gennaio 2015

L’IDEA DI CITTADINANZA, IN FRANCIA E ALTROVE, VA RIPENSATA, PER DIVENTARE UNA CATEGORIA DAVVERO INCLUSIVA, CHE PORTI A UN VERO SENSO DI CONDIVISIONE

In una dialettica tra vivi non sarei mai Charlie Hebdo. In una dialettica tra vivi e morti ammazzati potrei esserlo, come potrei essere Naji Ali, il fumettista palestinese padre di Handala, il personaggio raffigurato sempre di spalle nel tentativo di ritorno nella propria terra e per questo simbolo di una diaspora minore.

ANCHE NAJI ALI FU SPARATO, NEL 1987 A LONDRA DOVE ERA IN ESILIO. POTREI ANCHE NON ESSERE CHARLIE, COME HA SPIEGATO DYAB ABOU JAHJAH, RIVENDICANDO IL DIRITTO DI DISSENTIRE DA UNA SATIRA INTRISA DI FACILONERIE, SENZA PER QUESTO DARE ALCUN ADITO ALL’IDEA CHE SI POSSA AMMAZZARE PER AVER DETTO QUALCOSA DI PROFONDAMENTE SBAGLIATO.

Io non voglio essere Charlie Hebdo, non lo voglio essere senza essere musulmano, ma da laico non fondamentalista. Perché ho l’impressione che in occidente, e in modo particolare in Francia negli ultimi anni, il laicismo abbia sviluppato anch’esso una forma di fondamentalismo. Un integralismo che come tutti gli integralismi scava ed edifica una trincea verso l’altro, perdendo la bussola dell’umanesimo e tradendo la propria origine illuminista.

L’ECCEZIONE FRANCESE

Paese del tutto particolare la Francia, rispetto alll’Italia partecipò con meno entusiamo alla guerra in Afghanistan post 11 settembre. Si sottrasse alla guerra in Iraq del 2003 divenendo quasi punto di riferimento per il movimento pacifista che andò colorando balconi e finestre con le bandiere arcobaleno. La Francia non ha mai smesso di esercitare una pesante egemonia diplomatica in paesi che un tempo furono colonie; è il caso della Libia, dove ha contribuito fisicamente all’eliminazione di Gheddafi lasciando un vuoto riempito dalla guerra civile.

Ingerenze continue caratterizzano la politica estera in Algeria, Tunisia, Marocco, Siria e Libano, dove il paese che ostenta il maggior tasso di laicismo nei confini nazionali fa lì da protettore alle istituzioni ed enti confessionali cristiani, contribuendo, così, alla mancata nascita di una cittadinanza scevra da caratterizzazioni confessionali.

Ed è proprio sull’idea di cittadinanza che la Francia vede corrodere al proprio interno la presunta idea di stato multiculturale. L’esasperazione della politica di inserimento graduale nel proprio tessuto sociale, la continua distinzione tra immigrati di prima, seconda e magari terza generazione, quasi come se si trattasse di una quarantena culturale, ovvero dell’imposizione del logoramento dell’identità originaria in cambio di una nuova somministrata a rate, dove si richiedono mansioni di second’ordine nel mercato del lavoro per altrettanti diritti di terzo, quart’ordine.

IL RECENTE VINCITORE DEL PREMIO CERVANTES, LO SCRITTORE JUAN GOYTISOLO, AMA RICORDARE COME LA DISTINZIONE IN GENERAZIONI TRA MIGRANTI ASSOMIGLI ALLA DIFFERENZAZIONE CHE GLI SPAGNOLI FACEVANO IN AMERICA LATINA TRA PUROSANGUE E CONVERTITI AL CATTOLICESIMO. IL PROCESSO DI PRESUNTA INCLUSIONE MIRA A FRATTURARE, DIVIDERE LE IDENTITÀ. CREA POLARIZZAZIONI MULTICULTURALI DIMENTICANDO CHE DI PER SÉ LA CULTURA È IL LUOGO DEL COMPROMESSO, VOTATA ALLA MUTAZIONE, ALLA CONTAMINAZIONE, COME FOSSE UNA LINGUA.

SATIRA E RISPETTO

Lo scrittore arabofrancese, e non francese di origine araba, Ahmed Djouder, nella propria biografia intitolata “Disintegrati – storia corale di una generazione di immigrati” racconta come i francesi siano innamorati della parola intégration perché li fa sentire capaci di domestiquer (addomesticare) gli stranieri. Djouder confida: «detto fra noi, chiederci di integrarci dopo che siamo qui da due, addirittura quattro generazioni, è una vera presa per il culo». Tocca all’Europa accettare di essere pluriconfessionale, pluriculturale e rivendicare così la propria vocazione illuminista.

Non ho mai apprezzato Charlie Hebdo, ho sempre considerato inopportuno raffigurare il viso del profeta di una religione che inevitabilmente assolve il ruolo di tenuta identitaria, sociale e culturale di un gran numero di oppressi del pianeta e di subalterni nelle nostre città. Non sono contro le blasfemie, sono venuto su con Punk Islam dei Cccp e con Rock the Casbah di Joe Stummer, credo nella contaminazione ma non nel logoramento delle culture.

Amo la satira e tra le vittime del massacro parigino c’è uno tra i miei disegnatori preferiti di sempre, Wolinski, appartenente a una generazione che rivendicava il diritto della classe operaia a fare l’amore con le belle donne e in maniera giocosamente promiscua e lussuriosa. Vorrei che l’aver innaffiato per anni interi villaggi iracheni di fosforo bianco, uccidendo indiscriminatamente civili, crei il medesimo sdegno dell’assassinio della redazione di Charlie Hebdo, perché l’umanità è una e le dichiarazioni di sapore voltairiano di queste ore mi risultano decisamente posticce. Vorrei che questo articolo non abbia tra le immagini una copertina di Charlie raffigurante Maometto, magari avrà qualche lettore in meno, ma rispetterà molta umanità in più.