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Con “Medineando” diede forma a quel concetto di comunità che nessuna autorità possiede. perché quelle donne e quegli uomini, per lo più dediti a conciliare l’arte della sopravvivenza lon l’ozio, rappresentano l’archeologia dell’umanità.

Juan Goytisolo convinse l’Unesco a decretare la medina di Marrakech sito da tutelare, non tanto per l’architettura ma per l’umanità. Il vociare del mercato, le storie narrate, finanche l’oleografia di un incantore di serpenti, erano per Goytisolo importanti almeno quanto i resti di civiltà passate. L’umanità si fonda sull’immateriale.

Il senso di comunità ne è la prova più tangibile. Quella stessa medina è stato il luogo del suo ultimo lungo esilio per uno scrittore che dello sradicamento continuo, del “privilegio dell’extraterritorialità”, ha trovato il senso per il radicamento nell’umanità.

È un fatto che in spagna la gente cerca di evadere. Più sono dure le condizioni di vita e più se ne sente il bisogno”, dichiarava durante il regime franchista che gli aveva ucciso la madre in un bombardamento e internato il padre.

“Ed è vero che per gli scrittori: circondati dalle cortine fumogene stese dalla stampa, dalla radio, dalla propaganda di Stato, la realtà è la nostra sola evasione”.

Era il periodo del realismo sociale e Goytisolo da Parigi raccontava di una Barcellona autentica quanto indicibile in Spagna. Poi venne l’epoca degli sperimentalismi e Goytisolo cambiò costantemente registro restando sempre il più radicale nella sostanza per un intellettuale assolutamente mite e pacato nella forma.

Come Jean Genet sentì l’esigenza di raccontare oltre la Barcellona degli ultimi anche le ingiustizie degli altri, quelle legate a doppio filo dall’agire dei nostri governi, si recò in Palestina, in Cecenia, in Algeria ma sorattutto raggiunse Sarajevo assediata come corrispondente de El País .

Tutte le guerre hanno un terribile filo conduttore sulla distruzione del senso di comunità e da quell’esperienza venne fuori uno dei volumi più belli quanto sconosciuti di giornalismo narrativo: El sitio de los sitios.

Una decina di anni fa, interrogato da il Manifesto, paragonò la velleità dei governi occidentali di distinguere i migranti tra prima e seconda generazione con l’atteggiamento della Spagna conquistatrice che elargiva diversi gradi di cittadinanza distinguendo tra convertiti e purosangue.

“Crediamo che le culture possano solo scontrarsi o integrarsi e dimentichiamo che nella definizione di cultura è implicita l’idea di contamizione. Una cultura è come una lingua non può esistere senza mischiarsi”. Risiedeva nella medina perché esule da un Occidente incapace di confrontarsi con altre culture.

Sarà seppelito nel cimitero di Larache nel nord del Marocco, in un cimitero frequentato quasi interamente da salme di militari spagnoli intenti a dare le spalle al mare. Poco più giù una sola tomba guarda il mare ed è quella di Jean Genet.

Quando Genet fu seppelito qui al di fuori del cancello cimiteriale vi era un carcere e un bordello. Un reciproco omaggio casuale a Genet e all’umanità raccontata dallo scrittore francese. Goytisolo aveva descritto lungamente quel tumulo amandolo per la sua semplicità e per tutto quello che rappresentava. Sono convinto che anche Goytisolo guarderà il mare.

intervista apparsa su QCodeMag.it il 28 agosto 2015

Il tempo di incrociare lo sguardio di Ali Lmrabet, di udire una sola amara battura, e ti rendi conto che non sei semplicemente dinanzi a un giornalista dalla vita resa difficile dal proprio lavoro, ma a una specie di contemporaneo Lenny Bruce del Maghreb.

Come nello sketch reso immortale dalla pellicola di Bob Fosse in cui Lenny leggeva, divertito e inorridito, le didascalie del Time sul presunto altruismo eroico di una Jacqueline Kennedy intenta a lasciar il posto alla scorta dopo l’uccisione del marito e non a fuggire per la paura causata da una sparatoria, anche Ali Lmrabet prende di mira la narrazione giornalistica e del potere del suo paese, il Marocco, come dell’Occidente e del mondo arabo.

Lo fa sul suo giornale satirico Demain [Domani], esperienza che gli è costata prima una manciata di mesi di galera per aver paventato la vendita di un palazzo reale di sua maestà Muhammad VI, poi dieci anni di interdizione dal lavoro in patria per aver constatato che i saharawi presenti in Algeria non sono ostaggi di quel paese, ma profughi riconosciuti a livello internazionale e, infine, il ritiro della carta d’identità e il mancato rinnovo del passaporto per la continuata e recidiva attività di satira.

Ospite a Napoli della rassegna Imbavagliati, Ali Lmrabet si dichiara abituato a tutte le provocazioni e a tutte le domande del mondo. Dinanzi a un uomo così, tanto vale cominciare l’intervista con una domanda cretina.

Perché va sostenendo che in Marocco non vi sia libertà di stampa? Mica parliamo del Libano, dove per ammazzare Samir Kassir si è ricorsi a un’autobomba.

Il Marocco è da sempre differente dal mondo arabo. Se ci paragoni con la Libia, l’Iraq o l’Arabia Saudita generi un equivoco. Siamo l’unico Paese che non ha fatto parte dell’Impero Ottomano, ad esempio. Io non sono arabo, non ho problemi con gli arabi e considero la cultura araba una ricchezza in più del Marocco. Ma se tu ci paragoni al resto del mondo arabo, non hai capito nulla. Sulla libertà di stampa io prendo per buono quello che dice il regime del Marocco, quello che è scritto nella Costituzione del mio Paese: La libertà d’espressione esiste! Io prendo per buono quello che dicono i ministri dell’informazione, della giustizia, dell’interno: il nostro è un Paese democratico che cresce. E io dico: Molto bene! Allora avrò il diritto di avere una rivista e di fare il mio lavoro di giornalista!

Perché ha deciso di ricorrere alla satira per raccontare le contraddizioni del Marocco?

Perché posso descrivere con una caricatura una situazione definita che un docente universitario argomenterebbe con un libro. Con una caricatura soltanto posso dire che il Re del Marocco è allo stesso tempo il discendente del Profeta Maometto, il commendatore dei credenti, la massima autorità religiosa del Paese e anche il proprietario di una catena di supermercati che vende alcool. E l’alcool è proibito dalla religione islamica. Con una sola caricatura, discreta e non provocatoria. Noi non siamo Charlie Hebdo. Con una caricatura piccola dove non appare nemmeno il Re, possiamo raccontare una situazione ben definita e l’ipocrisia della nostra classe dirigente.

La satira è uguale in ogni parte del mondo?

Charlie Hebdo! [ha capito subito dove volevo andare a parare – ndr] Conoscevo personalmente Charb, non posso definirlo amico, ma era una persona con la quale ero molto in contatto. Ero legato a Charlie Hebdo all’epoca di Philippe Val. Conoscevo Cabu e quando andavo a Parigi ero suo ospite. Fu Cabu a darmi l’idea, una volta che mi chiusero in Marocco la rivista Demain [Domani], di aprire Après-demain [Dopodomani]. Sono l’unico musulmano che nel 2006, dopo la prima caricatura del Profetto Maometto, ha mandato loro un fax dove dichiaravo: “Appoggio il diritto fondamentale della gente di esprimersi come vuole!”. Ebbi poi molte discussioni con Charb. Da loro esiste il diritto alla blasfemia e io stimo la Francia per questo diritto. Ben venga allora la copertina su Maometto la prima settimana, la settimana successiva pure, la terza anche, ma se poi anche la quarta, la quinta, la sesta settimana allora significa che tu hai un problema con l’Islam. Già non è più un diritto alla blasfemia ma la manifestazione di un problema con una religione. Lo dico chiaramente, perché ne parlavo con loro: avevano un problema non tanto di anti-islamismo, ma erano anti-musulmani. Per quanto mi dicessero “Nooooo, ma noooo, noi lottiamo contro tutte le religioni” io facevo loro notare che attaccavano più la religione cattolica e musulmana e mai quella ebraica. Qui leggo scritto nelle aule di tribunale “La legge è uguale per tutti”, anche le religioni sono tutte uguali o non lo sono?

Quindi un problema di libertà d’espressione c’è anche da noi? Charlie-Hebdo doveva mettere Maometto ridicolizzato in prima pagina per vendere. Una satira diversa da quella che critica il potere come faceva ad esempio Cuore qui in Italia o come fai tu oggi in Marocco.

Si, lo penso, ma si tratta di una regola normale. Anche al Corriere della Sera vedi segretari di redazione che immaginano il titolo sulle possibilità di vendita. Ma considerato che l’Islam e i musulmani godono di una cattiva fama, e io lo vedo con me, perché quando arrivo a un convegno internazionale di giornalisti guardano la mia borsa sempre con un certo sospetto, hanno approfittato di questa cattiva fama per vendere. Ma non funzionava. Con tutta la storia dell’Islam, del sedere del Profeta in prima pagina, non funzionava. Vendevano ventimila copie a numero. E due pazzi disoccupati nati in Francia, che dell’Islam non sanno nulla tranne aver letto tre o quattro testi integralisti, hanno ammazzato mezza redazione, boom boom boom, e così hanno messo tutti noi in un problema grandissimo e terribile. Tutto questo quando la immensa maggioranza di musulmani, dico immensa, non conosce Charlie-Hebdo e se gli avessero posto il problema della raffigurazione del Profeta avrebbero fatto al massimo una pernacchia. Però due persone nate in Francia, cresciute in Francia, sintomo del problema dell’integrazione in Francia, entrano nella redazione, boom boom boom, e siamo in questo bordello.

Siamo impelagati in un fondemantalismo laicista?

In Francia si. Sia in Svizzera, come in Israele, molta gente parlandomi prendeva le distanze da Charlie-Hebdo. Siamo in una follia laicista. Dopo il massacro alla redazione la polizia ha fermato bambini di sette e otto anni che a scuola dichiaravamo il proprio disappunto per Charlie-Hebdo e inneggiavano agli assassini. Bambini che non sanno cosa vuol dire ammazzare o cosa sia la satira. Siamo in una follia laicista e in una ipocrisia enorme. Parte dei cinque milioni che hanno manifestato a gennaio per la libertà d’espressione in realtà hanno manifestato il loro astio contro i cinque milioni di musulmani presenti nel loro paese. Ma perché non difendono la libertà d’espressione nel mio Paese, in Algeria, in Tunisia, in Libano o in Arabia Saudita? Sapete cos’è l’Arabia Saudita? É lo Stato Islamico rispettabile! Perché non difendete la libertà d’espressione in Arabia Saudita? Per me sta bene, io ho applaudito a quella grande manifestazione a Parigi, ma noi? La nostra libertà d’espressione? Il governo francese non ha mai detto nulla sulla mia libertà d’espressione in Marocco.

A noi dal Marocco arriva una immagine edulcorata: La fantastica Medina di Marrakech, raccontata anche da Goytisolo, le belle donne, il buon clima.

Marrakech è una città marocchina? Io direi di no! È una città francese che io chiamo la nuova Sodoma e Gomorra del mondo arabo. Se cammini nella Medina vedi americani, francesi, politici e giornalisti, in uno stato dentro lo stato. Se vedi un marocchino commettere un crimine morale, tipo andare a letto con un bambino, questo crea sgomento in Marocco come in Francia, ma se è un ministro francese (e io ho il nome) allora non succede nulla. Marrakech non è Marocco. Per vedere il Marocco devi andare in periferia e parlare con gli islamisti, non con gli islamisti al governo, quelli sono islamisti light che con una sedia da ministro sono stati recuperati. Per conoscere il Marocco devi parlare con la gente, entrare nelle loro case e scoprirai non una democrazia, ma una dittatura in babbucce protetta dall’Occidente, dalla Spagna e dalla Francia in particolare. Paesi che permettono a un paese non democratico di sopravvivere forse perché non abbiamo gas e petrolio. Siamo una nazione con la quale si risolve facilmente il problema del Sahara Occidentale. Siamo il primo esportare di hashish nel mondo. Esportiamo ventimila prostitute all’anno nei paesi del Golfo e sono nostre ragazze, e dalla mia regione, Tétouan, esportiamo migliaia di tagliatori di testa che sono liberi di gonfiare le file dello Stato Islamico con regolare passaporto mentre il mio di passaporto non lo vogliono rinnovare per la satira che faccio. Noi siamo campioni del mondo in vendita di immagini esteriori. Siamo un edificio dalla facciata impeccabile, dipinta e rifinita stupendamente, ma dietro questa, l’interno del palazzo è non solo fatiscente. E’ pericolante.