intervista raccolta venerdì 17 aprile 2020 per un servizio fatto con Maria Tavernini per TRT World.

L’8 marzo 2020 una delibera della Regione Lombardia decretava le residenze per anziani luoghi Covid.

Una scelta da un punto di vista clinico medico assolutamente ingiustificabile. L’8 marzo oltre ad essere stato identificato il virus e le sue vie di trasmissione avevamo in tutta evidenza dati su come il virus colpisse le persone fragili, sapevamo che i decessi erano soprattutto nella terza età con persone sopra i settant’anni. Quindi sapevamo bene che la popolazione delle Rsa fosse la la vittima designata del virus. Che alcune Rsa l’abbiano fatto perché incentivati dalla quota pagata per ogni ospite (150 euro al giorno per ogni paziente Covid ospitato) è inacettabile. Anche perché nelle Rsa non ci sono solo gli ospiti ma anche il personale, questo abbandonato a se stesso e senza i dispositivi di protezione individuale.

È opportuno a questo punto che la sanità pubblica sia gestita dai governi regionali?

Penso che vada rimessa in discussione non solo la delega alle regioni per la sanità ma l’intero modello a cominciare dalla Lombardia che rappresenta la punta avanzata delle privatizzazione del servizio sanitario. Il 40% della spesa sanitaria pubblica corrente finisce alla sanità privata qui in Lombardia. Abbiamo quindi un comparto privato esteso e abbiamo introiettato all’interno della sanità pubblica la logica del privato. Abbiamo fatto prevalere gli obbiettivi dell’interesse privato anche nella sanità pubblica, quindi l’obbiettivo di ottenere profitti a fronte di un investimento di banche, fondazioni e multinazionali. Quanti più clienti, quindi malati, quindi persone da curare, ha la sanità privata tanto più si apre l’opportunità di fare soldi. Il cittadino viene considerato come cliente e come merce. Ne consegue che per la sanità privata la prevenzione non ha senso ed entra in contrasto con i propri interessi. Se la prevenzione ha l’obbiettivo fdi are sì che i cittadini non si ammalino per la sanità privata rappresenta la diminuzione dei potenziali clienti. Se la sanità sostiene una campagna di prevenzione lo fa per un calcolo preciso di marketing. Quindi la sanità privata è tutta centrata sulla cura, ma anche lì sceglie bene dove investire e infatti insiste molto poco sul pronto soccorso e sull’emergenza e prova vivace interesse invece per le malattie croniche, per la chirurgia e la cardiologia perché su questi fa profitto. Dall’altra parte c’è la sanità pubblica che dovrebbe invece puntare sulla prevenzione, perché se fai un lavoro di prevenzione fatto bene diminuiscono le persone che evolvono verso una patologia, risparmi le funzioni di cura e così guadagni rieorse per il sistema generale.

Cosa è accaduto invece in questi anni?

Che la struttura della sanità pubblica dopo venti anni di governi liberisti qui in Lombardia è lo strumento affinché venga introiettata e possa issarsi la sanità privata. È avvenuto distruggendo ai minimi termini tutti i servizi sul territorio: ambulatori, poliambulatori, presidi di prossimità. Adesso la parola magica è accorpare, cioè tagliare. Sono quasi scomparsi i servizi di prevenzione, ridotti alle vaccinazione e al controllo degli alimenti. Servizi di prevenzione sui luoghi del lavoro sono ormai inesistenti. La medicina del lavoro è una attività privata fatta da liberi professionisti a partita iva. Alla medicina pubblica resta solo la sorveglianza sanitaria, ma con i tagli ai personali resta da fare davvero poco. È stata sacrificata anche la rete dei medici di famiglia, uno screening permanente che ci invidiano in tutto il mondo su tutti i cittadini, migranti regolari e irregolari e bambini che devono essere iscritti a un medico o a un pediatra personale. Una rete diffusa su tutto il territorio che conosce spesso la storia personale di ogni persona, la sua condizione familiare e sociale, rapporti spesso basati su un rapporto di fiducia, questa era la prima linea che andava difesa. Si usa il paragone con la linea di trincea della prima guerra mondiale, nel caso nostro la prima linea è stata smantellata. Chi doveva sostenerli i medici di base li ha abbandonati a se stessi, non hanno ricevuto istruzioni e dispositivi di protezione individuale. La lettera che annuncia loro qui in Lombardia la disponibilità, del tutto insufficiente, di dispositivi arriva 13 giorni dopo il primo caso di Codogno. La gran parte di questi medici di famiglia si infetta e perdiamo una parte importante del nostro bene comune collettivo, purtroppo i medici si infettano in gran numero. Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, ebbe modo di dichiarare durante lo scorso agosto quando era ancora sottosegretario di governo, che la funzione dei medici di famiglia era superata, se un cittadino necessitava di una cura cercava su internet uno specialista. Questa prima linea invece andava considerata come una struttura frangiflutti, con il compito di smantellare e attutire l’urto di una onda improvvisa sulla terra.

Poi che è successo?

L’onda del Covid 19 ha sbattuto sulle strutture ospedaliere, e cosa ha trovato? Servizio sanitario pubblico sottoposto a un taglio di migliaia di posti letto, con un indice di posti letto sulla popolazione inferiore a quello di tutta la popolazione europea occidentale. Con un numero di posti letto nei dipartimenti di emergenza assolutamente ridotti. Su cento ospedali pubblici il 60, 70% ha il pronto soccorso, su cento ospedali privati nemmeno il 30% ha il pronto soccorso perché questo settore non produce profitti. In questo scenario la Lombardia non ha le competenze e le relazioni scientifiche per sviluppare reti epidemiologiche, hanno lo strumento del tampone ma hanno sbagliato l’approccio.

Come è possibile che non si riesca ad avere una strategia sui tamponi?

Perché è come se si svegliassero tre amici al bar e si domandassero ogni giorno che strategia adottare. C’è una scienza che ha delle specialità, si fanno esami di statistica e medicina preventiva. Non ha senso fare i tamponi solo a chi ha una sintomatologia avanzata e con tutti e tre i sintomi già conclamati. I tamponi andavano fatti anche a coloro che avevano linee di febbre o poca sintomatologia e poi ai loro contatti al fine di inseguire il virus. Abbiamo assistito a un atteggiamento di arroganza che considera la medicina di prevenzione primaria e territoriale di serie zeta, approccio dovuto a una mancanza culturale.

Quindi i dati regionali e nazionali valgono ai fini scientifici quanto l’estrazione del lotto?

Una buffonata fare andare in onda i dati regionali e nazionali, insignificanti e inutilizzabili per ogni tecnico privi di una qualsiasi logica di previsione. Viene data ogni giorno la percentuale misurata sul numero di casi positivi registrati fino a quel momento. Una assurdità: è evidente che se è il numero dei positivi ad aumentare i nuovi casi rappresentano sempre una percentuale minore. Se tra un mese i casi totali saranno centomila dei nuovi mille diremmo che aumentano di un solo centesimo. Un conto per ingannare gli insipienti e che permette di far scrivere ai giornali che la potenza del virus diminuisce, ma questo senza una prova scientifica credibile. Vengono spesso forniri i dati dei tamponi positivi senza un corretto calcolo dei tamponi realizzati, ogni regione poi ha una strategia diversa dall’altra. Per vedere come sta andando l’epidemia l’unico calcolo rimasto utile è il conto dei decessi, ma non dei decessi Covid19, sono una marea i deceduti per Covid19 ai quali non è stato fatto il tampone e non risultano nelle statistiche. Ma va tenuto in considerazione il conto dei decessi totali e vedere se diminuisce nei giorni sperando che vada avanti nei giorni e poi confrontarli tra la media dei decessi di questo periodo rispetto i 4, 5 anni precedenti.

Quindi di fatto nessuna azione per misurare l’andamento dell’epidemia.

Non viene fatto nessuno studio epidemiologico, che è una scienza con fior fori di professori che saprebbero organizzare un campione stratificato per età, dati sociali, patologie pregresse, saprebbero disporre i tamponi e vedere la reale diffusione del virus. Qua ci muoviamo come se la sanità pubblica non esistesse e si va a tentoni, con tutti i disastri che ne conseguono.