Interviste sul taccuino sono la sbobinatura sommaria ma completa di interviste realizzate per servizi giornalistici.
Questa intervista, a un medico che ha preferito restare anonimo, è stata raccolta insieme a Maria Tavernini per un servizio su TRT World.
Dottore, con quali criteri attuate il triage, ovvero la scelta di quali pazienti ospedalizzare e quali no?
Una domanda complessa, bisogna rispondere su due piani: “sul quadroi clinico” sarebbe nelle condizioni normali il parametro più corretto, adesso il criterio è “quanti posti abbiamo”. Si pone un grande problema etico, al paziente prestiamo cura o accoglienza? Scegliamo da subito chi curare e quindi chi non curare relegando a maggiori possibilità di morire. Fare tutto per tutti non è più possibile. Già al pre-triage, quando avviene la distinzione tra pazienti polmonari e pazienti non polmonari compiamo la scelta. In questo momento nella mio ospedale pazienti senza complicazioni polmonari non ci sono più. Abbiamo solo pazienti con problemi respiratori che hanno il primo accesso al pronto soccorso internistico. Qui i medici sanno che al momento in ospedale su 210 posti letti possibili ne ha due liberi, arrivano tre pazienti che meriterebbero il ricovero e al terzo paziente cosa si fa? Ci si sta ponendo questo problema etico assolutamente importante, e per certi versi stressante.
E il terzo su quale criterio lo escludete?
Su chi ha meno comorbidità a prescindere dall’età. All’inizio il criterio era l’età: hai ottanta anni? preferivo trattare e davo la precedenza a un sessantenne. Ma adesso non possiamo fare più nemmeno così perché i posti di osservazione sono finiti, i posti di trattamento sono assolutamente finiti quindi la presenza di comorbidità e il quadro clinico del paziente sono criteri che ti aiutano perché forniscono margini di scelta. Quindi il paziente diabetico, o il paziente cardiopatico, o ad esempio un obeso che ha meno probabilità di sopravvivere se affetto da una polmonite interstiziale a fronte di un altro paziente magari più vecchio ma con un quadro clinico generale splendido, senza altre patologie, allora io ho maggiori probabilità di tirar fuori dal problema questo ultimo paziente, quindi l’altro aspetta. Ci si può organizzare, in alcuni casi il paziente molto grave viene intubato ma lo puoi tenere così solo 24 ore e poi gli devi trovare un post, gli hai dato 24 ore di possibilità ma dopo non puoi più seguirlo. Considerate che abbiamo mandato molti pazienti in altre province e in altre regioni, alcuni anche in Germania.
È come se la politica del male minore avesse fatto breccia in un campo moralmente scevro come la cura.
Preferisco parlare di effetti collaterali, c’è una guerra che richiede determinate condizioni e tra gli effetti collaterali c’è che adesso non trattiamo chi ha un infarto acuto. Tutte le terapie intensive di cardiologia sono attualmente impegnate per il trattamento Covid quindi chi ha un infarto non ha cura. Un altro effetto collaterale è non riuscire per tempo fare interventi a pazienti oncologici. Manderemmo, avremmo mandato, manderemo, dipende anche da questioni burocratiche, insomma dovremmo mandare i nostri pazienti oncologici all’Istituto Nazionale dei Tumori, ma la nostra struttura amministrativa non si è preoccupata fino all’altro ieri di avvisare quell’istituto. Quindi noi avvisavamo i nostri colleghi di quell’ospedale ma ci muoviamo sul piano del favore personale, senza nessun atto amministrativamente riconosciuto. Ci sono condizioni che richiedono una urgenza respiratorie e altre cose che non possono essere trattate.
Quale è l’umore tra gli operatori sanitari?
Queste cose vengono vissute male dagli operatori sanitari, è chiesto a noi medici di decidere della vita delle persone. Ci sono vari gradi di sostegno alla respirazione: la mascherina o gli anelli nasali che consentono di somministrare un po’ di ossigeno al paziente, c’è una seconda mascherina dotata di un reservoir che tiene l’ambito respiratorio piuttosto ricco di ossigeno, c’è poi una terza fase la cpap che crea una pressione positiva che permette all’ossigeno di entrare, poi c’è l’intubazione vera e propria. La cpap viene fatta con dei caschi cilindrici, chiusi e adattati alla clavicola dentro al quale viene messo il paziente e l’ambiente è assolutamente ricco di ossigeno, ma per tenerli gonfi c’è bisogno di aria compressa. E non tutte le postazioni ospedaliere sono munite di bocchettino per l’aria compressa e uno per l’ossigieno. Altri pazienti, quelli con un tubo per la gola, devono avere i caratteri vitali monitorati costantemente, e non tutte le postazioni letto hanno la presa di corrente o i monitor che consente di allacciare le apparecchiature necessarie per questo monitoraggio. Non è una questione solo di software ma proprio di carenza infrastrutturale dei nostri ospedali, e anche questo è un criterio per scegliere quanti pazienti trattare e quanti no. Questa situazione, la continua costrizione a questo tipo di decisione vengono vissute male dagli operatori sanitari, è chiesto a noi medici di decidere della vita delle persone.
Siete protetti, come state messi a Dpi (Dispositivi di Protezione Individuali)?
Secondo le indicazione dell’OMS ci sono vari gradi di protezione a secondo della vicinanza al paziente. Se devi svolgere manovre che consentono la dispersione di goccioline di flügge, ovvero quei veicoli di trasmissione dell’infezione, devi avere un dispositivo specifico. Dispositivo che all’ospedale di Milano ora è arrivato ma che altrove è ancora insufficiente.